Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

lunedì 6 giugno 2016

Il Lato Cattivo n. 2 - Editoriale

È in uscita a giugno il secondo numero della rivista (60 pagine, 3 euro). Qui di seguito è possibile scaricare integralmente l'Editoriale e l'Indice. Per ordini scrivere a: il.lato.cattivo@gmail.com

[…] non si può salvare una costruzione teorica a costo di sacrificare la realtà; ma nemmeno darsi ad un puro elogio del presente, a discapito di un solido inquadramento teorico. Siamo allora tornati per l'ennesima volta alla sorgente – che non poteva che voler dire: a Marx – allo scopo di giungere ad una comprensione della fase attuale che fosse il più dialettica possibile, che contenesse cioè nella comprensione positiva delle cose, anche il loro ineluttabile tramonto, la loro distruzione necessaria. Quella che nel primo numero de «Il Lato Cattivo» compariva come «l'epoca delle rivolte» […] si precisa come una fase di rivolte politiche caratterizzate dall'interclassismo e dall'egemonia della classe che meglio esprime questo interclassismo: la classe media. Anche qui, sarebbe stato facile accomodarsi sul carattere «transitorio» di questi dati, dirsi semplicemente: passerà. Ma bisogna essere in grado di spiegare perché. Ovvero: (far) intravvedere in cosa potrebbe consistere il superamento di questa fase, il suo ineluttabile tramonto; mostrare, insomma, che la rivoluzione comunista non è un'immensa manifestazione di piazza o un «movimento sociale», estesi su scala mondiale. In un testo di gioventù, Marx scrive: «La rivolta industriale […] può essere parziale fin che si vuole, essa racchiude in sé un'anima universale; la rivolta politica può essere universale fin che si vuole, essa cela sotto le forme più colossali uno spirito angusto». Per riprendere e riattualizzare la formula, era necessario trasporla nella configurazione odierna del «geroglifico sociale»: individuare i fondamenti della «rivolta politica» e della «rivolta industriale», e la frontiera che le separa; cogliere il processo attraverso il quale (oggi) la prima assorbe la seconda; figurarsi il processo inverso – rovesciamento della praxis! – per mezzo del quale la seconda potrebbe (domani?) dissolvere la prima. Cos'è oggi questo «spirito angusto» della «rivolta politica»? Che ne è della «rivolta industriale» e della sua «anima universale»?